martedì 7 ottobre 2014

lavoro

Oggi per la prima volta nella mia vita mi sono sentita disoccupata. Che originalità, con tutte le persone disoccupate che ci sono, la mia non è certo una situazione inedita.
Eppure dopo un concorso andato male ho camminato per le strade di questa città che amo e odio da sei anni, e mi sono sentita estranea a tutto. Luci, negozi aperti, scaffali pieni, oggetti inutili, persone affannate, signore distinte oscillanti sui loro tacchi alti, colori. Tutto sembrava irraggiungibile e lontano, sebbene indesiderato. E ho avuto la conferma sensibile che questo mondo che ci siamo costruiti ed edifichiamo ogni giorno con rinnovata obbedienza fa di noi delle persone a una dimensione.
Accetterei qualsiasi lavoro in questo momento, metterei da parte i miei sogni, perché ho bisogno di autonomia, come tutti. E allora giù la testa, piegandosi a contratti vergognosi, concorrenza spietata, imbrogli, concorsi truccati, per arrivare alla carriera, alla prospettiva di vivere per lavorare. Certo, non tutti siamo affamati di potere, eppure ci rassegniamo a questa situazione, perché "c'é la crisi", perché ci hanno e ci siamo convinti che sia normale.
Dall'altra parte siamo bombardati da bisogni sempre nuovi e crescenti, creati per darci l'illusione di riempire i vuoti lasciati dall'assenza di una vita che possa essere considerata tale. 
Partecipiamo come ingranaggi piccoli ed ostinati a questo meccanismo degradante.

Stasera chi vive al mio fianco mi ha detto: "Pensare che tu mi abbia preparato la cena mi fa venire da piangere, perché so che io non avrei il tempo di farlo, e non è giusto. Sono stufo di vivere così". Stufo di un contratto che scade a dicembre, di un lavoro che ama ma che non gli permette di vivere se non fra mille calcoli e rinunce, dell'assenza di prospettive, dell'assenza totale di tempo per sé. Sta lavorando anche ora chi vive al mio fianco, mi ha detto che ne avrà per tutta la notte.

1 commento:

  1. Sono sempre stato convinto che la determinazione sia l'unica difesa a quanto sta succedendo attorno a noi. Non ho altro che quella e l'instancabile voglia di non farmi ingabbiare. Fa male sentirsi tali, scoprirsi succubi e piegati alle dinamiche che hai raccontato così bene. Il mio sospiro, dopo la lettura del tuo post è stato lungo. L'unica cosa che mi viene in mente, quasi automaticamente è la frase di Arrigoni: "restiamo umani". Questa sarà l'ancora a cui mi aggrapperò ogniqualvolta mi sentirò messo in competizione col mio vicino, quando l'esito di una "selezione" mi farà sentire "abile" o "meno" a qualsiasi lavoro stia cercando. Restiamo umani, appassioniamoci e non lasciamoci intristire. La tristezza e la rabbia è il motore di questo sistema, rendiamolo noi INUTILE. Difficile sorridere dopo questo post, ma è quel che farò pensando ad una cena pronta frutto dell'affetto che nessuno potrà togliermi da dietro la sua scrivania.

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